Diario in stile Lahiri Parte 9

 Lahiri è entrata in una cultura che è molto fiera di se stessa. Ci sono elementi positivi e negativi della cultura italiana, e una di quelli negativi è il fatto che ci sono ancora tante tracce del periodo fascista nella legge e nella mentalità italiana. Lahiri, verso la fine del suo romanzo, parla di come l'aspetto fisico ha influenzato il modo in cui gli italiani la trattano. In paragone col marito, la vedono più straniera di lui, benché parli meglio la lingua italiana di lui, perché ha l'aspetto fisico giusto. 

In altre parole (sì, ho usato questa frase apposta), imparare l'italiano comprende i giudizi degli altri. 

Come traduttrice, mi rendo conto che c'è una somiglianza tra le due attività. I traduttori sono spesso criticati più che l'autore originale. I lettori ci giudicano tantissimo quando leggono le nostre traduzioni e si rendono conto che il testo che leggono non è quello che aspettavano. Una volta, parlavo della traduzione in genere con un compagno di classe l'anno scorso. Cominciavo a spiegare che i traduttori fanno un lavoro meno apprezzato quando il mio interlocutore mi ha interrotto per dirmi che nel campo di filosofia, si leggono molte traduzioni, perciò odiava la traduzione. Sentiva che i traduttori non hanno catturato la bellezza dei testi originali nel suo campo. Non sapevo rispondere. Ho semplicemente chiesto a lui: "Come si definisce una buona traduzione?" Anche se in quel momento non avevo la risposta—e non penso di averla ora—sapevo che la sua definizione mancava qualcosa. Oggi, ho più chiarezza: traduciamo cose diverse in un testo. 

Questo mi porta a una domanda che da molto tempo ho voluto fare: quali cambiamenti dovrebbe fare il pubblico al proprio atteggiamento nei confronti della traduzione? Se ho già detto nell'ultima voce del diario che i traduttori non siamo gli autori, e che di conseguenza le traduzioni non sono i testi originali, dovrebbe succedere qualcosa di più? 

Io penso di sì. Leggiamo tanti testi tradotti al liceo: Dante, Shakespeare, Don Quijote, etc. Perché no facciamo più attenzione al cognome sotto Dante e Shakespeare? 

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