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Diario in Stile Lahiri Parte 11

Per chiudere il mio diario in stile Lahiri, vorrei riflettere sulla sezione del romanzo titolato "L'impalcatura." Poi, pensando alla collettività menzionata in "L'impalcatura," parlerò dell processo di traduzione.  Lahiri spiega il processo che ha facilitato la scrittura e la pubblicazione di In altre parole . Prima, ha passato ore e ore in una biblioteca a Roma scrivendo e scrivendo i capitoli "in ordine, uno dopo l'alto, come se fosse i compiti" (pagina 136). Poi ha mandato il manoscritto alla sua insegnante d'italiano a New York, che l'ha letto e corretto. L'insegnante ha indicato tutti gli error che aveva commesso, includendo errori com e "gli penso" invece di "ci penso" (che mi ha fatto sentire un sollievo perché se Lahiri può sbagliarsi così, anch'io posso sbagliarmi). Poi due lettori più l'anno letto, offrendo suggerimenti più "sottili." Una frase che mi piace del capitolo include: "...

Diario in stile Lahiri Parte 10

 Mi piacerebbe dedicare questa voce sul diario alla sezione del libro di Lahiri titolata "L'imperfetto" in cui rifletta sulla sua incapacità di parlare perfettamente la lingua italiana. Elenca tante cose che la confondono della lingua: le preposizioni, l'uso dell'articolo, parole simili e soprattuto, l'uso dell'imperfetto. Lahiri si identifica con l'imperfetto perché lei stessa è imperfetta, perché "un senso d'imperfezione ha segnato la mia vita" (la pagina 85). Si sente la mancanza di una lingua con cui si può identificare. Finisce questa sezione dicendo che sentirsi imperfetta è sentirsi viva. Pretendo scrivere su questi tre aspetti meravigli dell'imperfezione nella traduzione: non esiste una traduzione perfetta, l'imperfetto in italiano si traduce in una marea di manieri e una traduzione "imperfetta" è un'opera d'arte fatta da un traduttore. 1. La traduzione è una arte e una scienza. Questo vuole dire che non ...

Diario in stile Lahiri Parte 9

 Lahiri è entrata in una cultura che è molto fiera di se stessa. Ci sono elementi positivi e negativi della cultura italiana, e una di quelli negativi è il fatto che ci sono ancora tante tracce del periodo fascista nella legge e nella mentalità italiana. Lahiri, verso la fine del suo romanzo, parla di come l'aspetto fisico ha influenzato il modo in cui gli italiani la trattano. In paragone col marito, la vedono più straniera di lui, benché parli meglio la lingua italiana di lui, perché ha l'aspetto fisico giusto.  In altre parole (sì, ho usato questa frase apposta), imparare l'italiano comprende i giudizi degli altri.  Come traduttrice, mi rendo conto che c'è una somiglianza tra le due attività. I traduttori sono spesso criticati più che l'autore originale. I lettori ci giudicano tantissimo quando leggono le nostre traduzioni e si rendono conto che il testo che leggono non è quello che aspettavano. Una volta, parlavo della traduzione in genere con un compagno di cla...

Prattica con "ci" e "ne"

 Una delle cose più difficile per gli stranieri imparando l'italiano è questo concetto di "ci" e "ne." Voglio imparare a usare queste parole bene, quindi alcune settimane dopo la conversazione su questo concetto grammaticale, ho deciso do farci degli compiti per non dimenticare ciò che ho imparato. Gli esercizi vengono di questa pagina web: https://learnitalian.web.unc.edu/home/pronouns/ne-and-ci/  Quanti corsi segui? (5) Ne seguo 5. Quante email scrivi al giorno? (10) Ne scrivo 10.  Quanti chili di banane vuole Lei? (3) Ne voglio 3.  Quante lingue parla Luisa? (4) Ne parla 4.  Quanti strumenti suoni? (2) Ne suono 2.  Quanti amici vengono alla festa? (15) Ne vengono 15. Quante pizze dobbiamo ordinare? (6) Ne dobbiamo ordinare 6. / Dobbiamo ordinarne 6. Quanti capitoli del libro hai letto? (8) Ne ho letto 8. Quante cartoline hai ricevuto da tua sorella? (1) Ne ho ricevuto una.  Quante rose hai comprato? (12) Ne ho comprato 12.  Pensi spesso al...

Diario in stile Lahiri Parte 8

 Queste idee non sono mie, ma queste parole sì. Così ho cominciato a pensare alla traduzione. Non è soltanto una questione di meriti--se merito crediti per questo lavoro. Non è così importante. Io dico quelle parole sopra riferendomi al processo. E' semplicemente così.  Quando traduciamo un testo, è certo che le idee non sono nostre. Non siamo stati noi a creare i personaggi, imaginare i dialoghi o sviluppare l'ambientazione. Noi traduttori siamo quelli che REcreano i personaggi, REimaginano I dialoghi e REsviluppano l'ambientazione, usando le nostre parole. E' a volte impossibile sapere esattamente l'intenzione dello scrittore originale. Quando i traduttori leggono un testo e poi lo traducono, il testo passa davanti ai loro occhi. La nostra interpretazione come traduttori influenza il modo in cui scriviamo, il modo in cui scegliamo le parole che ci sembrano giuste e organizziamo la struttura delle frasi. Quali frasi cerchiamo di enfatizzare? Quali personaggi ci pia...

Diario in stile di Lahiri Parte 7

 Lahiri scrive: "Dal mio primo libro richiamavo Calcutta, la città di origine dei miei genitori. Dato che era, per loro un luogo lontanissimo, quasi scomparso, cercavo un modo, attraverso la scrittura, di colmare la distanza, e di renderlo presente...Mi ci è voluto molto tempo per accettare che il mio progetto di scrittura non dovesse assumere una tale responsabilità" (pagina 161 di In altre parole  da Jhumpa Lahiri). Voglio riflettere su questa citazione, ma impiegandola alla traduzione.  Quale è l'obiettivo della traduzione? Hanno i traduttori una responsabilità? E' questa responsabilità colmare la distanza tra il testo, la lingua e la cultura di partenza e il testo, la lingua e la cultura di destinazione?  Quando ho cominciato a tradurre, avrei detto di sì, i traduttori hanno una responsabilità, ma invece di colmare la distanza, la responsabilità sarebbe far essere trasmesso un messaggio in un'altra lingua. Il traduttore deve lodare il testo originale e, di con...

Diario in stile di Lahiri parte 6

Ho finito la mia tese. Questa vittoria mi ha fatto sentire felice, tranquilla, sollevata. Ho realizzato il progetto di cui dal primo anno dell'università avevo paura.  Ricordo il primo anno. Non ero ancora una studentessa Schreyer, però facevo i corsi che mi aiuterebbero unire alla facoltà l'anno dopo. Dato che tutti i miei amici erano studenti Schreyer, mi sentivo come una straniera, una falsa che cercava di unirsi ai gruppi a cui non mi appartenevo. Me sentivo inferiore mentre cercavo il gruppo di amici che tutti vogliamo avere. Un gruppo di amici. Ne volevo uno, e non sono mai riuscita a trovarmene uno, però ho trovato qualcosa che forse durerà più tempo: la traduzione. Lahiri amava la lingua italiana. E' In altre parole una storia d'amore in cui il soggetto d'amore è la propria lingua? Penso di sì. Nel mio caso, la mia esperienza a Penn State è stato anche una storia d'amore. La traduzione, invece, è il mio amante. Non sapevo questo primo anno che sarebbe co...